Il film “strano” di Locatelli

La pellicola che il regista ha presentato alla kermesse romana racconta della sospensione di un padre chiamato ad accudire il figliopiù piccolo, malato di tumore. L'universo ospedaliero accoglie tante figure che fanno emergere un uomo arrabbiato, solo, in cerca di una speranza per sè e per il piccolo
Filippo Timi protagonista della pellicola di Locatelli

Il festival romano sembra orientato ormai verso due tematiche fondamentali: l’infanzia-adolescenza e l’immigrazione, ossia le categorie più bisognose di assistenza e perché no, anche di amore.

Una riprova è film di Mirko Locatelli “I corpi estranei”. Antonio è un padre quasi quarantenne, umbro di origine, si trova all’ospedale di Brescia per curare il bambino afflitto da un tumore al cervello.

Sospeso tra dolore, speranza, attesa spasmodica, telefonate alla moglie e ai due figli, l’uomo vive un’avventura umana spiazzante. Lo circonda un universo ospedaliero, dove staziona un’umanità dolente, fatta di immigrati, rumeni, marocchini, tunisini, gente che lui in fondo disprezza. La sofferenza lo rende irritabile, ispido: si reca spesso nella cappella ma non riesce a pregare, a differenza di altri. Prova a ricordare la preghiera dei bambini “all’angelo custode”, ma non ci riesce e bestemmia. Antonio è un uomo esasperato che aspetta di concludere  un viaggio della vita che oltre che salvare  il piccolo, salvi in qualche modo anche lui.

Il film è denso, con personaggi di contorno  (il rumeno, il tunisino) addolorati ma forse più dignitosi del protagonista. A loro, forse,  sarebbe stato utile dare maggior sviluppo, in modo da temperare l’assoluto protagonismo di Filippo Timi, che riveste il suo personaggio della consueta negritudine, spalancando tuttavia – una delle rare volte nelle sue interpretazioni – lampi di tenerezza affettuosa, di infanzia dell’anima di un padre che gioca col suo piccolo: unici momenti di luce della pellicola.

Originale è stata la scelta registica di affidare la cura del bambino non alla madre, come ci si aspetterebbe, ma al padre, anche se quest’uomo è duro (e bestemmia anche troppo),  il che sfata certe analisi giornalistiche di padri assenti dalla vita dei figli.

In definitiva, il film di Locatelli è uno sguardo sull’infanzia, vista dall’ottica del padre ed anche – questo è davvero originale – da quella del piccolo che è il vero protagonista del racconto, quasi sempre presente nelle gioie, nei pianti, nelle paure. Il dolore dei bambini percorre come un filo rosso il film e rende i personaggi “secondari” importanti nel sostenere, come un coro, la disperante speranza di un padre.

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